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CON LE IMMAGINI [ DAI 3 ANNI ]

Contributi teorici

“Le immagini”, dice Marcella Terrusi, “hanno una loro ortografia, un proprio lessico e dei propri richiami, come le parole hanno una loro storia.  Alcune immagini sono stratificate nell’immaginario, l’idea che tutti sappiamo leggere le immagini allo stesso modo è smentita dall’esperienza: esiste un linguaggio delle immagini che richiede un’alfabetizzazione, un percorso e un processo che avviene per tutta la vita” e continua “il Silent Book dà la possibilità di offrire un’esperienza di educazione all’immagine a qualunque età, a qualunque competenza … all’interno delle immagini troviamo dei codici culturali da esplorare con domande aperte che accolgono la diversità delle risposte”.

Bruno Munari afferma “che il disegno prevede l’osservazione e quindi in sé è un mondo di conoscenza, uno strumento indispensabile per l’invenzione e la scoperta del mondo. Le immagini sono fonte di parole, suscitano il desiderio di attribuire un nome alle cose e di raccontare per condividere. L’immagine non ha la sola funzione di aiutare la comprensione o di tradurre il testo in altro codice, ma è un elemento della narrazione che richiede un’ alfabetizzazione al codice” 

La visione delle immagini genera domande nel lettore e le risposte compongono una vicenda che nel girare la pagina può trovare conferme, blocchi, svelamenti, ribaltamenti e chiama il lettore a continue revisioni; lo spazio creato in questo processo genera suspense, sorpresa e meraviglia.

A rendere preziosi questi albi è l’indipendenza narrativa di testo e illustrazioni. I bambini amano rileggere più volte e nell’immagine di un certo livello scoprono sempre qualcosa di nuovo, di più e di diverso, in un girotondo interpretativo il cui meccanismo è sovrapponibile all’interpretazione del testo poetico, che cambia a ogni lettura. Inoltre, nell’immagine di qualità sono contenute molte più parole di quante possano essere scritte. Nei testi, il repertorio di immagini introduce suggestioni che il linguaggio non può dire e consente una più ricca rielaborazione e memorizzazione, come hanno mostrato gli studi condotti da Kenneth Holmqvist dell’Università di Lund e quelli di Jelle Jolles della Vrije Universiteit di Amsterdam. L’intuizione di ciò venne, alla fine degli anni Settanta, al filosofo Jean-François Lyotard che sosteneva che se il testo ha l’ingannevole pretesa di denotare, di afferrare oggettivamente la realtà, le immagini impongono processi di interpretazione e svelano la dimensione figurata del senso. Non si tratta di sostituire la comunicazione verbale con l’immagine e neppure di mettere in discussione il primato del logos. Infatti, il linguaggio è una capacità pervasiva: una volta sviluppatasi, è veramente difficile pensare senza di essa, anche quando ammiriamo estasiati e “senza parole” la tavola di un libro illustrato. Tuttavia, gli studi di neuroscienze, come quelli di Stanislas Dehaene, hanno mostrato la parziale segregabilità delle aree cerebrali deputate all’elaborazione delle immagini rispetto a quelle coinvolte nei processi linguistici. L’accostamento dei due codici, del linguaggio verbale e delle figure, attivando sinergicamente queste reti diverse, stimola le attività cognitive del bambino molto più di quanto non facciano singolarmente parole e immagini.
«A cosa serve un libro senza figure?» si chiedeva Alice nel Paese delle Meraviglie, facendosi portavoce del bisogno spontaneo di ogni bambino. Ebbene, l’importanza dell’immagine è confermata anche da studi che mostrano come i libri illustrati e senza parole, i cosiddetti silent book, stimolino maggiormente l’apprendimento di nuovi vocaboli rispetto al solo testo. Tra gli altri, anche Dallari (La dimensione estetica della paideia Erickson,Trento 2005)  si è occupato delle potenzialità pedagogiche dei libri senza parole: «Un libro è classificato “per l’infanzia” quando presuppone una mediazione, almeno iniziale, con l’adulto. E nel silent book tra il bambino e l’adulto scatta una contrattazione interpretativa illimitata»

Immagini che insegnano il pensiero e la riflessione


« Il vedere viene prima delle parole. Il bambino guarda e riconosce prima di essere in grado di parlare» diceva John Berger, critico d’arte recentemente scomparso, in Questione di Sguardi (1988). Ciò è senz’altro vero. Eppure, sbaglierebbe chi pensasse che il linguaggio delle immagini, a differenza di quello verbale, sia spontaneo e naturale tanto da rendere superfluo ogni apprendimento. La dimensione culturale investe le raffigurazioni e le immagini che possono essere semplicemente “viste” oppure “lette”, dotate così di significato e di senso, come spiega Dallari in “Un congegno metacognitivo chiamato testo”.  La potenza dell’immagine risiede nella sua capacità narrativa, che dipende anche dalla cultura visuale del lettore. «La creatività è un’attività combinatoria e dipende dal repertorio di immagini di ciascuno» spiega Dallari. Per questa ragione, è fondamentale andare oltre lo stereotipo e porgere ai più piccoli, anche in classe, immagini che stimolino la concettualizzazione e che insegnino il pensiero e la riflessione: «Incrementare la collaborazione di immagini e parole non si pone come obiettivo quello di arrivare a maggior e compiuta chiarezza del discorso ma, al contrario, serve a recuperare e valorizzare il reciproco contributo di straniamento che i due linguaggi, associandosi, sono in grado di generare, aiutando il lettore a “disimparare” a riconoscere». Detto in modo meno provocatorio, insegnando ai bambini a ragionare da sé.
È quindi forse giunto il momento di sfatare la credenza sulla presunta bontà dell’esatta corrispondenza tra testo e immagini, convinzione radicata nel buon senso e nelle cattive informazioni pedagogiche. Dunque, lungi dall’essere letteratura di serie B, il libro illustrato, quando illustrato bene, è un perfetto congegno epistemologico, una risorsa per lettori di tutte le età.

Marnie Campagnaro: «il bambino, se opportunamente guidato attraverso un percorso di pratica, coglie i rimandi, fa inferenze, formula ipotesi e ipotizza connessioni» Dalle riflessioni presentate riguardo allo sviluppo della visual literacy, seppur riferite alla prima infanzia, si evince l’imprescindibilità dello scambio verbale con l’adulto che guida il bambino e lo rende progressivamente autonomo nel cogliere rimandi e farsi domande di fronte alle immagini. Un insegnante, nel momento in cui individua un’immagine sulla quale costruire attività per l’apprendimento della L2, dovrebbe innanzitutto chiedersi in che modo tale immagine possa comunicare. Il linguaggio visivo, così come quello verbale, si presenta con delle caratteristiche specifiche: «la parola è costituita dall’inquadratura e il discorso nel suo svolgersi dalla sequenza» (Peruzzi 2015: 342). Campagnaro individua gli elementi per comprendere la “grammatica visiva”: la morfologia delle forme, costituita da forma, dimensione, colore, texture, luce-ombra; la lessicologia costituita da linea, volume, stile; la sintassi costituita da composizione, pregnanza visiva, prospettiva; e infine la semantica costituita da processi narrativi, simbolismo visivo, intertestualità, iconologia e iconografia (2012: 139). Nell’articolo “Quando le immagini si stringono alle parole”, Marco Dallari distingue due modalità di fruizione delle immagini, la visione e la lettura: la visione delle immagini non richiede preconoscenze o competenze, che sono invece necessarie per la lettura, la decodifica e l’utilizzo delle informazioni ottenute per compiere inferenze come avviene nella lettura di un testo scritto (2011: 27). Dal punto di vista percettivo egli sottolinea che la lettura di una frase, parola dopo parola, segue una procedura di tipo lineare mentre la percezione di un’immagine avviene nel suo insieme e poi in dettaglio, lasciando allo sguardo uno spazio di esplorazione libera (Dallari 2012: 50). Nonostante sia da più parti denunciata l’emergenza pedagogica dell’alfabetizzazione visiva, sono molti gli studiosi che si occupano di albi illustrati a metterne in luce la limitata presenza nel contesto scolastico, osservando che essi vengono considerati una risorsa solamente per i contenuti morali che veicolano e non per aspetti formali ed estetici «capaci di generare competenze metacognitive e influenzare il gusto e le capacità critiche dei soggetti in formazione» (Dallari 2012: 28). Gli albi illustrati e i silent book possono essere impiegati per progettare percorsi di visual literacy che «attivino un processo cognitivo e di apprendimento (competenza critica), consolidino la competenza narrativa (sollecitazione immaginifica), maturino una consapevolezza estetico-artistica (alfabetizzazione visiva), attivino processi di partecipazione empatica ed emozionale (promozione della lettura)» (Campagnaro 2012: 136). 

M. Dallari, La dimensione estetica della paideia Erickson, Trento 2005

Jenny Cappellin e Laura Romanello

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